I biocarburanti liquidi o gassosi potrebbero diventare determinanti per gli obiettivi posti dalla transizione energetica. Le richieste delle associazioni di categoria alla UE
Investimenti enormi, soluzioni tecnologiche non immediatamente applicabili, un settore costituito da aziende medio piccole: sono questi i principali ostacoli per la rivoluzione a zero emissioni prospettata dall’Unione Europea nel trasporto pesante.
Il trasporto pesante su strada, in Italia, è ancora fortemente dipendente dal gasolio e caratterizzato da una flotta di mezzi datata, con un'età media che, come evidenzia il recente studio RIE-UNEM, sfiora i 14,5 anni per i veicoli sopra le 3,5 tonnellate. Un dato allarmante, se si pensa che circa il 50% del totale delle tonnellate di merci trasportate per chilometro percorso nel 2022 ha viaggiato su gomma. Senza un approccio che tenga conto della pluralità tecnologica, difficilmente sarà possibile centrare, nel volgere di pochi anni (e decenni), gli obiettivi posti dall’Europa.
La fotografia del trasporto merci italiano: c’è ancora molto da fare
I numeri parlano chiaro: secondo i dati della Motorizzazione, ancora nel 2023, il 96,8% dei veicoli acquistati è alimentato a gasolio, mentre i veicoli elettrici rappresentano una percentuale quasi irrilevante, appena lo 0,3%. Lo studio RIE-UNEM sottolinea anche che, a fine 2023, il parco circolante relativo ai veicoli pesanti sopra le 3,5 tonnellate ha toccato le 740.000 unità, di cui circa il 52% risponde a direttive di emissione Euro 4 o precedenti. E c'è un dato che fa riflettere più di tutti: circa il 10% dei mezzi pesanti in circolazione ha un motore Euro 0, il più obsoleto e inquinante.
L'Europa alza l'asticella: il Regolamento che cambia le carte in tavola
In questo contesto, l'Unione Europea ha deciso di accelerare, imponendo una svolta decisa. Il nuovo regolamento sulla riduzione delle emissioni dei veicoli pesanti (il regolamento UE 2024/1610 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 6 giugno 2024) ha come obiettivo la messa al bando di tutte le alimentazioni che non siano elettrico o idrogeno a partire dal 2040. Un traguardo ambizioso, accompagnato da tappe intermedie altrettanto sfidanti: riduzione delle emissioni del 15% entro il 2025, del 45% entro il 2030, del 65% entro il 2035, fino a toccare il -90% nel 2040, rispetto ai valori del 2019.
Un ritmo serrato, che imporrebbe al settore dell'autotrasporto un cambio di passo radicale e uno sforzo senza precedenti difficile da ipotizzare. L'autotrasporto italiano, costituito in prevalenza da piccole e medie imprese (circa 200.000, con 600.000 addetti), si trova impreparato ad affrontare una sfida di tale portata. Non si tratta solo di investimenti ingenti, necessari per rinnovare un parco mezzi obsoleto. Il problema è anche tecnologico. Le soluzioni a zero emissioni, come l'elettrico e l'idrogeno, ad oggi faticano ad adattarsi alle necessità del trasporto pesante a lungo raggio.
Autonomia limitata, tempi di ricarica o rifornimento lunghi, portata utile ridotta: sono solo alcuni degli ostacoli che rendono queste tecnologie, al momento, poco adatte alle esigenze del settore. Lo studio RIE-UNEM, ad esempio, evidenzia come il volume e il peso delle batterie, uniti all'ampio differenziale tra PTT (Peso Totale a Terra) e carico utile del veicolo, rendano difficile l'impiego di BEV (veicoli elettrici a batteria) nel trasporto pesante.
La voce delle associazioni: un fronte comune per una transizione sostenibile
ANITA, ANFIA, Assogasliquidi-Federchimica e UNEM, quattro sigle che rappresentano il mondo dell'autotrasporto, della componentistica, dei carburanti e dell'energia hanno espresso forti perplessità sull'approccio europeo, giudicato troppo rigido. In un documento congiunto, e più recentemente durante un side event organizzato nel contesto della COP29 di Baku, hanno lanciato un appello chiaro: serve una transizione più graduale e inclusiva, che tenga conto delle specificità del settore e delle tecnologie già disponibili. Secondo ANITA, ANFIA, Assogasliquidi-Federchimica e UNEM, la strada verso la decarbonizzazione non può essere a senso unico.
Focalizzarsi esclusivamente sull'elettrico e sull'idrogeno, ignorando le altre opzioni, sarebbe un errore strategico. Esistono, infatti, soluzioni ponte, già mature e in grado di contribuire in modo significativo alla riduzione delle emissioni nel breve e medio termine: i Carbon Neutral Fuels ossia carburanti liquidi e gassosi (biocarburanti avanzati, biometano e bioGNL, recycled carbon fuels, e-fuels o carburanti sintetici) che nel loro ciclo di vita possono determinare mediamente un taglio delle emissioni di CO₂ lungo tutta la filiera del 65%.
L’attuale sistema di calcolo "Tank to Wheel" (dal serbatoio alla ruota), che valuta solo le emissioni allo scarico, li penalizza, non tenendo conto del loro ciclo di vita virtuoso. Servirebbe al contrario un approccio "Well-to-Wheel" (dal pozzo alla ruota), che consideri l'intero processo, dalla produzione all'utilizzo. Lo studio di RIE-UNEM evidenzia che, con un calcolo delle emissioni basato sulla metodologia "Well-to-Wheel", i biocarburanti liquidi/gassosi e gli RFNBO (Renewable Fuels of Non Biological Origin cioè Carburanti rinnovabili liquidi e gassosi di origine non biologica per il trasporto) potrebbero coprire una parte significativa e sempre crescente della domanda nel trasporto stradale pesante. Una soluzione ancor più significativa in una Paese come l'Italia che può vantare un'infrastruttura produttiva, logistica e distributiva all'avanguardia nella filiera dei biocarburanti avanzati e dei gas (GNL, GNC, GPL e loro declinazioni bio).
La neutralità tecnologica per i trasporti
Queste considerazioni trovano una sponda importante anche al di fuori delle associazioni di settore: nel recente "Rapporto Draghi" sulla competitività europea si sottolinea come la neutralità tecnologica, a parità di risultati in termini emissivi, debba essere un principio guida della legislazione UE. Questo per salvaguardare le competenze esistenti e mitigare gli impatti economico-sociali della transizione. Una transizione troppo rapida e sbilanciata verso un'unica tecnologia, sottolinea il rapporto, potrebbe portare a chiusure di impianti, delocalizzazioni e a una maggiore dipendenza dalle importazioni. Le conseguenze di un approccio a senso unico, come ha insegnato la recente crisi dell’automotive, possono essere molto pesanti.